[Padova] Premio, turni, interinali: mesi di agitazione in BusItalia

Premio di risultato in cambio di turni più lunghi? Licenziare i lavoratori interinali? I dipendenti di BusItalia Veneto non ci stanno.

Da anni ormai prosegue la battaglia dei lavoratori del trasporto pubblico urbano di Padova e provincia contro BusItalia, l’azienda (a capitale pubblico) che ha preso in gestione (privatistica e quindi volta a generare profitto) di una grande parte del trasporto pubblico locale in tutta Italia.

A partire da Firenze, dove l’ex-premier ed ex-sindaco Renzi ha affidato a BusItalia il trasporto locale, provocando un peggioramento delle condizioni di lavoro e del servizio che sono sulla bocca di tutti e che sono resi pubblici durante gli scioperi, ma che lui non vuole vedere, contento com’è di aver messo a gara (e quindi privatizzato) il servizio fiorentino.
La gestione di BusItalia Veneto, che comprende anche il trasporto extraurbano di Padova e Rovigo, ha comportato un livellamento al ribasso del servizio (ultimo ad esempio l’orario estivo del 2017 in cui 70 comuni della provincia rimangono senza collegamenti nei festivi) e delle condizioni di lavoro: nastri lavorativi fino a tredici ore, turni spezzati e tempi morti non pagati.

Il problema della rappresentatività dei lavoratori si è imposto prepotentemente in questi anni.
Da una parte i lavoratori, in gran parte iscritti e organizzati con le sigle di base – ADL-cobas, SLS, SGB, SUL – (delle quali le prime due raccolgono la maggior parte dei lavoratori dell’urbano), dall’altra l’azienda e i sindacati confederali che si ostinano a non voler riconoscere la volontà dei lavoratori. Le elezioni delle RSU a Padova non si svolgono da quando l’azienda si chiamava ancora APS, e ai tavoli di trattativa ci vanno ancora segretari provinciali di sindacati che nel trasporto pubblico locale hanno anche meno di 10 iscritti.
C’è poi il contenuto di accordi e trattative: negli ultimi mesi si è parlato di Premio di Risultato, una parte del salario che dovrebbe dipendere dal raggiungimento di alcuni -appunto- risultati a livello individuale, che spesso va a sostituire altri mancati aumenti collettivi. BusItalia Veneto, dice, vuole legare il PdR a parametri “oggettivi”, parametri però spesso stranamente oggettivi, come la valutazione del servizio da parte dei clienti. Clienti sempre più indispettiti della qualità del servizio, questa sì fortemente peggiorata in maniera oggettiva negli ultimi anni, non certo a causa degli autisti, che svolgono il loro lavoro con lo stesso impegno, ma da tagli alle corse, esternalizzazione di alcune linee a cooperative, mancata manutenzione dei mezzi.
Vi sono inoltre una serie di parametri individuali basati sui giorni di malattia, incidenti e numero di biglietti venduti a bordo.
Insomma un misto di criteri (ir)razionali che vogliono individuare una produttività individuale per un servizio il cui risultato dipende invece dalla cooperazione di tutti i lavoratori e dalla direzione.
La produttività risulta concetto strano in un'azienda che dovrebbe fornire un servizio pubblico, considerando che molti dei soldi incamerati vengono da rimborsi della Regione per la garanzia del servizio.
I parametri del PdR e il concetto di produttività applicato al lavoratore si scontrano con la realtà di un servizio in cui le malattie professionali sono all'ordine del giorno a causa delle lunghe ore alla guida, delle vibrazioni, dello stress e che infine dovrebbe continuare ad essere considerato un servizio pubblico al cittadino.

L'accordo per il premio, su cui i lavoratori sono stati chiamati a votare nelle scorse settimane, era una catena di complicate regole collettive e individuali che rendevano difficilmente quantificabile il PdR. Un' unica cosa era certa: l’ammontare totale bassissimo (600 mila euro all'anno) in cambio di un’ulteriore sforamento nei turni in deroga, quelli più massacranti perché con i nastri lavorativi più lunghi.

La maggioranza dei lavoratori si è rifiutata di legittimare quella che hanno considerato una farsa, nonostante la minaccia di non ricevere neppure quei pochi soldi promessi. Con il 55% di astensione ragionata ed un'ulteriore percentuale di voti esplicitamente contrari, i lavoratori organizzati dai sindacati di base -quelli davvero rappresentativi- vogliono mettere l’azienda davanti ai propri bisogni: servono più soldi anche per integrare il PdR che i lavoratori dell’extraurbano non ricevono da troppi anni; più chiarezza e regole comprensibili, che incentivino realmente i comportamenti virtuosi e il riconoscimento della rappresentanza reale.

Ma il vero cambiamento che vogliono lavoratori e lavoratrici è quello per cui al centro dell’operato dell’azienda ci sia la qualità del servizio e la qualità del lavoro, non l’utile economico e la propaganda. Proprio sull'utilizzo di cooperative esterne e lavoratori interinali, da lasciare a casa appena può far risparmiare qualcosa o quando iniziano a chiedere qualche diritto, è iniziato un nuovo stato di agitazione con lo slogan che abbiamo imparato a conoscere nel settore dei magazzini “Tocca uno, tocca tutti”. Otto lavoratori non hanno visto riconfermato il loro contratto e i motivi non sono chiari. È chiaro invece che la Solidarietà è ancora lo strumento fondamentale per lavoratrici e lavoratori per tornare a pretendere il rispetto dei diritti e la dignità.

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