[Torino] FOODORA ET LABORA: l'altra faccia dei pasti a domicilio

Magari è capitato anche a noi, di non avere voglia di uscire e di farci portare il cibo a casa, utilizzando una qualche app tra le moltissime che stanno nascendo in questi anni.
Ma quello che sta succedendo in questi giorni a Torino ci mostra l'altra faccia, il lato oscuro di questi comodissimi (per chi li usa) servizi.

Foodora è un'azienda internazionale, che ha sede a Berlino e opera in 10 paesi. L'idea di base è semplice: consegnare a domicilio i piatti cucinati nei ristoranti, come fossero pizze. Il vero colpo di genio sta nel modo in cui lo fa: sfruttando il più possibile i lavoratori, che fino ad oggi erano pagati solo 5.40 € all'ora, con contratti co.co.co (quindi non propriamente dipendenti, ma "collaboratori"), con gli strumenti di lavoro, bicicletta e smartphone, a carico dei lavoratori stessi.

Ma qualcosa, negli ultimi giorni, ha cominciato ad incrinarsi: i lavoratori di Torino hanno deciso che non ci stanno più! La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata, a settembre, un'ondata di nuove assunzioni di lavoratori pagati a cottimo: ogni consegna pagata 2.70 €, senza stipendio fisso, cioè senza retribuzione per i tempi morti.

Alla mobilitazione dei lavoratori i manager italiani dell’azienda hanno risposto che fare i corrieri per una multinazionale che ha un giro d’affari di 400 milioni solo in Italia non è un vero lavoro, piuttosto un hobby con una piccola paga. E pensare che nell’ultimo anno gli ordini di Foodora sono aumentati del 75% ogni mese: uno sviluppo impetuoso reso possibile soprattutto dai 295.000 km che i corrieri hanno percorso in bici anche nei mesi più freddi. Ma secondo la sua dirigenza i lavoratori non hanno diritto a ricevere un compenso equo per le ore lavorate, anzi dovrebbero essere felici di avere la possibilità di svolgere un lavoro all’aria aperta, pedalando in libertà ! Miracoli della sharing economy. O incubi dello sfruttamento che nel capitalismo, sharing o meno, continua a farla da padrone.

Così a Torino una cinquantina di corrieri, dopo mesi di promesse disattese alternate a minacce, ha deciso di dire basta. Al culmine di diverse assemblee e riunioni sono usciti allo scoperto sabato 8 ottobre con una manifestazione partita da piazza Vittorio che ha riscosso grande solidarietà da parte della città. Colpiti da questo sostegno, i lavoratori hanno rilanciato con un’iniziativa in serata con ritrovo a Porta Nuova dove hanno rifiutato di dialogare con uno dei referenti aziendali di stanza a Torino, chiedendo invece un incontro direttamente con l’amministratore delegato Cocco.
In serata è quindi partito il tour per diversi ristornati che usano Foodora per le consegne a domicilio: qui i corrieri hanno presentato le loro condizioni di lavoro a clienti e ristoranti, chiedendo a tutti di non utilizzare più la piattaforma finché l’azienda non avrà garantito migliori condizioni ai suoi lavoratori. Richieste in gran parte accolte, tanta solidarietà ed un momento importante con i lavoratori di M** Bun che hanno salutato i corrieri foodorini con un lungo e sincero applauso.

Una lotta che è risultato delle tensioni degli scorsi mesi in cui alle richieste di aumento dei 5 euro l’ora, l’azienda ha risposto con un nuovo contratto senza più fisso e con un misero 2,70 euro a consegna: praticamente il vecchio cottimo. Ma anche un vero furto se consideriamo che Foodora incassa 2,90 per ogni viaggio più il 30% del valore della commessa, e che ha costi fissi e variabili irrilevanti.
Un processo per niente nuovo e che abbiamo visto operare in tutti i rinnovi dei ccnl dell’anno passato: abbassare la parte fissa e aumentare, forse e comunque solo per alcuni, quella variabile. Ma che qui arriva al suo culmine: zero fisso e variabile misero. Così se non ti vengono affidate consegne per una sera, rimani senza stipendio ed il tuo tempo viene usato a gratis.

Ma questa vertenza non riguarda solo l’aspetto retributivo. Uno dei problemi più grossi è che i mezzi di lavoro (bicicletta e telefono con relativo abbonamento) non sono forniti dall’azienda, ma devono essere procurati dai lavoratori stessi, i quali inoltre versano 50 euro di cauzione per casco, box e divisa aziendale. Ciò è reso possibile dal fatto che questi corrieri non sono considerati lavoratori dipendenti ma semplici collaboratori. Un’assurdità che i lavoratori contestano a ragione, dal momento che sono costretti a vestire divisa aziendale e sono sottoposti ad uno stretto rapporto gerarchico in cui l’autonomia non esiste affatto.

Per di più l’atteggiamento dell’azienda è sempre stato molto aggressivo nei confronti di chi pretendeva condizioni migliori: poiché gli ordini vengono inviati tramite un’APP, ad alcuni corrieri che si erano lamentati è stato inibito l’accesso così da non ricevere più ordini (e quindi stipendio). Altre due lavoratrici, che ricoprivano l’incarico di “promoter”, sono state licenziate in tronco con un messaggio su WhatsApp. Il motivo? Lo spiega la stessa azienda agli altri lavoratori: “hanno partecipato alle riunioni dei rider per organizzare una protesta”.  
Ma l’atteggiamento dell’azienda è chiarificato anche dalle stesse parole con cui l’AD Cocco ha risposto alla manifestazione dei lavoratori di sabato: “siamo sempre stati disponibili ad incontri ‘face-to-face’, non collettivi, per discutere di problemi coi lavoratori”. Ecco il punto: si possono accettare solo incontri individuali, così i lavoratori sono isolati, divisi, deboli e se non si arriva ad un accordo li si può facilmente mettere alla porta. Invece questi lavoratori hanno ribaltato la situazione parlandosi, unendosi, riconoscendosi e organizzandosi col supporto del Si Cobas. Un piccolo esempio di come anche in una situazione di divisione (i corrieri di fatto non si conoscono, hanno turni diversi, consegnano in giro senza avere una base in cui incrociarsi) ci si possa organizzare e si possa migliorare le proprie condizioni.

Condizioni che non sono esclusiva di Foodora, ma che riguardano tanti altri corrieri della sharing economy: dal leader Just Eat (che si avvale della startup PonyZero per i corrieri) al colosso britannico Deliveroo i cui lavoratori sono riusciti a sventare, almeno parzialmente, un’operazione identica a quella tentata da Foodora: eliminazione della parte fissa ed innalzamento della parte variabile dello stipendio.

Una lotta, quello dei corrieri di Foodora, che ha già portato i primi frutti: alcuni ristoranti hanno già eliminato l'azienda dall'elenco fornitori. Preoccupata per l'esplosione della vicenda i manager si sono resi disponibili per un incontro con i corrieri lunedì pomeriggio. Un incontro a cui la delegazione di lavoratori è salita con la forza data dalla solidarietà garantita da tanti altri corrieri, lavoratori e solidali che si sono radunati sotto la palazzina in cui è avvenuto l’incontro.

Le richieste dei lavoratori sono state chiare:
•   Abolizione del co.co.co. e passaggio ad un part-time orizzontale di minimo 20 ore
•   Stipendio fisso di 7,50 euro l’ora (rispetto ai 5,40 del vecchio contratto) più 1 euro a consegna
•   Partecipazione dell’azienda ai costi di acquisto e mantenimento degli strumenti di lavoro (bicicletta e smartphone con relativo abbonamento)
•   Cessazione immediata e definitiva dei provvedimenti disciplinari a carico dei lavoratori in protesta.

Una lotta che dovrà proseguire, almeno fino alla risposta aziendale attesa per giovedì, ed a cui è necessario continuare a prestare solidarietà come è stato in questi primi giorni. I lavoratori di Foodora sembravano spacciati perché privi di potere contrattuale. Da una parte divisi, senza un luogo fisico di aggregazione, senza un contratto unico. Dall’altra facilmente sostituibili e tutto sommato rassegnati a subire una condizione di precarietà che i lavoratori, soprattutto se giovani, conoscono fin troppo bene. Eppure qualcosa in questo meccanismo di sfruttamento si è inceppato. Come già riuscito ai corrieri londinesi di Deliveroo, anche i lavoratori di Foodora sono riusciti ad organizzarsi sfruttando i social network (qui la loro pagina ), ma soprattutto incontrandosi fisicamente; sono riusciti a mettere in difficoltà l’azienda attaccandone l’immagine di società giovane e pulita su social (la pagina FB ha dovuto prima cancellare i commenti e poi abbozzare per le tante lamentele solidali) e media, ma anche più direttamente nei ristoranti clienti di Foodora e nelle strade della città.  

La lotta è ancora all’inizio e tanto ancora servirà per ottenere, e mantenere, condizioni di lavoro migliori, ma un segnale è chiaro: solo la lotta paga e solo lottando insieme si può ottenere qualcosa! Un esempio che gli stessi corrieri di Foodora non vogiono lasciare cadere ma su cui anzi vigliono rilanciare attivando anche i colleghi di Milano e più in generale tutti i corrieri della consegna a domicilio che vive condizioni di precarietà e sfruttamento del tutto analoghe.

Qui l'intervista di un lavoratore su Radio BlackOut

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