Eataly, la controffensiva di Farinetti

Dopo lo sciopero proclamato dai lavoratori insieme ai Cobas, è partita una controffensiva padronale, gestita direttamente dalla famiglia Farinetti.

Il primo palpito del nuovo guru dell'imprenditoria italiana è giunto il 2 settembre dalle colonne del Secolo XIX di Genova. La strategia dell'azienda è stata tutta rivolta ad attaccare gli scioperanti, definendoli un gruppetto minuscolo, male informato, e negando le rivendicazioni che erano alla base dello sciopero. Nell'articolo si legge che "da Eataly si lavora bene", "1000 euro stipendio minimo" (falsissimo!!!), "quei quattro dicono quello che vogliono"...

Il giorno successivo, Farinetti jr si è presentato personalmente nel negozio fiorentino, per arringare i lavoratori, prendendo le distanze dallo sciopero con fare paternalistico. Dopo aver respinto le accuse degli scioperanti davanti ai loro colleghi, Farinetti ha presentato una proposta di appello ai lavoratori, una sorta di presa di distanza dagli scioperanti, chiedendo a "chi fosse stato d'accordo" di firmarla, sentendosi "liberi" di non farlo. Un comportamento palesemente antisindacale, a maggior ragione in uno store in cui la spada di Damocle del non rinnovo pende sulle teste della stragrande maggioranza dei dipendenti. Nonostante ciò, una buona metà dei dipendenti non ha firmato l'appello, iniziando ad esporsi maggiormente verso l'azienda.

Dopo aver incontrato giornalisti e lavoratori, Farinetti ha incontrato a porte chiuse Massimiliano Bianchi e Alessio Branciamore, rappresentanti rispettivamente la Filcams-CGIL e la Nidil-CGIL. Senza che i lavoratori ne sapessero nulla, la CGIL ha firmato un accordo che prevede la stabilizzazione a tempo indeterminato di circa 72 dipendenti dello store fiorentino entro gennaio 2015, mentre il resto degli attuali 97 sarà occupato con contratti a tempo determinato o tramite lavoro somministrato. I 13 dipendenti rimasti fuori dall'azienda lo scorso 31 agosto, tra cui gli scioperanti, non rientrano nell'accordo, che non cita nemmeno le agibilità sindacali all'interno del negozio.

Più che un accordo, la mossa della CGIL sembra una sanatoria, poichè Farinetti ha finora utilizzato il lavoro somministrato e a tempo determinato molto oltre i limiti previsti dal contratto nazionale. Una situazione evidentemente "tollerata" anche dal sindacato e venuta a galla solo grazie allo sciopero, è stata accomodata tramite un "patto tra gentiluomini" ed una pacca sulla spalla, senza tutelare minimamente gli scioperanti, che nel frattempo continuano la loro lotta per il reintegro completo.

Non possiamo ancora conoscere le prossime mosse dei lavoratori. Sicuramente qualsiasi mobilitazione dovrà investire Eataly a livello nazionale, poichè il modello Farinetti, che prevede l'utilizzo spropositato dei contratti flessibili, sembra essere applicato anche negli altri store dislocati in Italia. Un modello che è stato indicato dallo stesso Renzi come un esempio "virtuoso" da seguire, e che sembra vacillare ora che proprio i lavoratori di Eataly hanno dimostrato, da un lato, come rappresenti un arretramento per i diritti dei lavoratori e, dall'altro, che opporvisi è possibile è necessario.

Di seguito un'intervista realizzata da Radiazione a due lavoratori “OUT” dopo la mattinata di lotta di sabato.

 

Come abbiamo anticipato, i metodi di rappresaglia antisindacale utilizzati dal Farinetti non hanno niente di "democratico" né di "sostenibile". Sono i metodi di un padrone che obbliga i propri dipendenti a vendersi la coscienza pur di non rischiare il licenziamento, anzi, come si dice adesso, il "non rinnovo". Questo infatti significa flessibilità, la stessa di cui parla il Jobs Act, la stessa che si vuole imporre con l'attacco all'articolo 18.

Farinetti non solo non è diverso dagli altri, ma fornisce un'immagine speculare del blocco sociale attualmente al potere.

E qui di seguito ci sono le prove, cioè le liste di firme con cui i dipendenti dovrebbero prendere le distanze dai loro compagni che hanno scioperato.

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