Piano industriale FIAT 2014-2018: quale futuro per i lavoratori?

La presentazione del “piano quinquennale” – unico per FIAT e Chrysler – targato Marchionne in quel di Detroit del 6 maggio scorso sembra essere l’ennesimo atto  di una tragica farsa senza fine. Nel corso della mega conferenza stampa in cui sono stati illustrati i progetti per il futuro del gruppi Fca per il 2014-2018, alla presenza di circa 100 giornalisti e 200 analisti da tutto il mondo e dei rappresentanti sindacali italiani e americani, sono state snocciolate parecchie cifre altisonanti (vendere 7 milioni di veicoli nel 2018 contro i 4,4 dello scorso anno, con un fatturato che dovrebbe salire a 132 miliardi di euro dagli 86,8 del 2013, un utile di 9 miliardi nel 2018 rispetto ai 3,5 dell'anno scorso e un utile netto previsto a 5 miliardi di euro nel 2018; investimenti pari a 48 miliardi di euro in cinque anni; azzeramento del debito) fanno da contraltare strategie industriali e modalità di realizzazione piuttosto fumose.

L’idea di fondo è quella di passare da una produzione a basso valore aggiunto – utilitarie, city car – a una produzione di lusso, di alta qualità, si tratta ad esempio di incentivare la produzione dei marchi Jeep, alfa Romeo e Maserati (investimenti di 5 miliardi di euro in 5 anni per 8 modelli nuovi, cui si aggiungeranno 2 miliardi per la Maserati). In particolare, per quanto riguarda la produzione in Europa sono previsti 8 nuovi modelli di qui al 2018, compresa la 500X che sarà prodotta a Melfi e il SUV Maserati Levante che dovrebbe essere prodotto a Mirafiori.

Fino ad ora, riguardo al piano industriale illustrato da Marchionne, possiamo registrare reazioni da due parti diverse: i mercati e i sindacati.


Alla poca chiarezza e “solidità” del piano fa subito eco la Borsa di Milano, gli obbiettivi sono visti come irraggiungibili, le strategie inconsistenti, mancano indicazioni dettagliate riguardanti i bilanci del primo trimestre 2014 (che si è chiuso con una perdita netta di 319 milioni di euro): il 7 maggio il titolo FIAT viene più volte sospeso per eccesso di ribasso e perde a fine giornata l'11,69% (7,48 euro), a fronte di un listino complessivo in netto rialzo della Borsa milanese. Dopo il crollo del giorno precedente, l’AD e il presidente di FIAT Elkann provano a far riprendere le quotazioni acquistando rispettivamente 130.000 e 133.000 azioni dell’azienda del Lingotto per una spesa complessiva di circa un milione di euro, l’8 maggio il titolo torna ad avanzare del 3,07% (7,7 euro). Anche la reazione degli analisti finanziari non è stata delle più positive: Mediobanca, ad esempio, dopo l’annuncio del piano ha abbassato il rating sul Lingotto a "neutral" dal precedente  "outperfm".

Ad eccezione del segretario Fiom Landini (assente al vertice di Detroit al quale hanno partecipato solo i rappresentanti dei sindacati firmatari di contratto) che esprime un certo – tiepido – scetticismo riguardo al piano industriale: "la credibilità del piano va realmente confrontata e verificata. Non si sa dove vengano reperite le risorse per finanziare il piano". Gli altri sindacati esprimono giudizi ottimistici: per Rocco Palombella, segretario generale della Uilm "è un piano importante per tutto il gruppo Fca, per l'azienda in Italia, per gli stabilimenti del nostro Paese e per quanti ci lavorano. La produzione automobilistica cambia marcia", l’Ugl sostiene che "L'Italia dovrebbe vantarsi di avere espresso un costruttore globale di auto".  "Quel che sembra molto importante è che le Alfa saranno costruite tutte in Italia e che con il piano che si sta annunciando si potrebbe arrivare vicini alla saturazione dell'occupazione nel nostro Paese" commenta Ferdinando Uliano (Fim nazionale) e Di Maulo (Fismic) chiosa: "Finalmente si è fatta chiarezza dopo settimane di ipotesi. E il piano dimostra che la strategia della Fiat, che noi abbiamo condiviso, è in grado di portare lavoro nel nostro Paese".

Teniamo per ultimo “l’illuminante” commento del segretario della Uil Angeletti  che afferma che ci sono “garanzie solide” e che non ci saranno problemi occupazionali, e aggiunge, testualmente,  che “il futuro è iniziato con l’accordo di Pomigliano”. E come dargli torto! Se c’è una ragione per la quale Marchionne può essere considerato un innovatore, è quella di aver disegnato, nel nostro Paese, una nuova frontiera dell’iper-sfruttamento e della cancellazione dei diritti dei lavoratori (che, al di là di generiche promesse - “ci siamo impegnati a non mandare nessuno a casa, a non licenziare” – sono i grandi assenti del piano industriale: il loro futuro è ancora più che incerto, come mostra il fatto che non ci sono notizie sul destino dei 300 del reparto di Nola che a Luglio vedranno scadere la cassa integrazione). Più che la credibilità e la solidità dei suoi prodotti, l’AD della FIAT ha infatti venduto sul mercato la prospettiva di una forza lavoro sempre meno sindacalizzata e sempre più piegata e sottomessa ai tempi della produzione (a tal proposito vi invitiamo a leggere i nostri approfondimenti).

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- Colpo gobbo a Torino: Sergio Marchionne e la truffa di “Fabbrica Italia”
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