Il primo maggio e gli uccisi sul lavoro

Due giorni fa esplodeva una fabbrica di fuochi d’artificio nel foggiano ferendo due lavoratori; il giorno prima un operaio in picchetto è stato aggredito a causa delle pressioni dei padroni a sfondare il blocco dei lavoratori (come se non avessimo visto già abbastanza con la morte di Abdel Salam!!); ieri un fattorino è stato investito per strada mentre stava consegnando la merce ordinata; senza nominare uno ad uno i 220 morti che dall’inizio dell’anno possiamo già contare.

Proprio per questo i confederali si ricordano di indire un primo maggio ‘‘tematico’’ con al centro la sicurezza e diritti sul posto di lavoro. Noi non li chiamiamo incidenti, ognuno di questi lavoratori è una vittima, vittima del proprio padrone che decide in modo pianificato che la sicurezza e la vita dei propri lavoratori non può essere messa a bilancio, è una vittima ogni lavoratore che può essere sacrificato per un introito più succulento e per cui quella vita è semplicemente un costo aggiuntivo.  Dopo anni che ci sforziamo di ricordarci che ogni ucciso sul lavoro è il frutto della volontà padronale una sentenza, per una volta, pare confermare quello che da sempre proviamo ad affermare. Parliamo della prima sentenza per l’uccisione di Matteo Armellini, montatore di palchi, vittima del proprio lavoro durante la costruzione del palco per il concerto della Pausini nel 2012. Molti forse non lo ricordano, d’altronde sono passati sei anni da quando finalmente un giudice ha avuto l’ardire di affermare che si è trattato di omicidio e non di un sempreverde incidente! Non sarà certo una sentenza a restituire la vita di questo lavoratore ma questa, espressa il giorno prima della liberazione, ci ricorda che la narrazione della realtà decantata dai padroni è una narrazione ipocrita e mendace, che occulta ogni responsabilità per mitizzare il fato avverso sempre e soltanto ad una sola categoria: quella dei lavoratori. Ciò che tuona non è un verdetto di un tribunale, ciò che scuote è la resistenza di una madre che dopo sei anni non smette di pretendere giustizia; ciò che scuote è la memoria viva di ogni collega perduto sui posti di lavoro; ciò che rimane è la resistenza di tutti i lavoratori infortunati e malati che non indietreggiano nel rivendicare che il padrone paghi per le proprie responsabilità. Ogni giorno di lotta, di resistenza e di azione è ogni giorno il nostro primo maggio, continueremo a lottare e a non indietreggiare mai; chi ci fa la guerra non ha pietà per noi, lo sappiamo benissimo, ma abbiano ben a mente che neanche noi, uniti, non ne avremo per loro.