[Roma] Se ottomila vi sembran pochi...

Finalmente lo si dice con chiarezza: il Comune di Roma è in sottorganico. Pesante sottorganico: 8.000 unità sui 21.000 dipendenti attuali. Lo scrivono in una nota Virginia Raggi e i sindacati confederali, che nella stessa nota chiedono al Governo la possibilità di assumere oltre i vincoli imposti.

Non è la prima volta che esce fuori questo dato, lo aveva scritto a chiare lettere addirittura il commissario Tronca all’epoca in cui governava la capitale nel suo Documento Unico di Programmazione - peccato che fosse lo stesso documento in cui si prevedevano ulteriori tagli al bilancio e ai servizi. È la prima volta, però, che la cosa fa davvero notizia.
E diversi giornali, Messaggero di Caltagirone in testa, non hanno perso tempo ad attaccare: “i 5 Stelle scoprono il consociativismo sindacale”, “la concertazione torna dalla finestra”, ecc. ecc. Certo, perché anche soltanto rilevarlo, questo dato, significa smontare una retorica che va avanti da anni nella Capitale e nel paese. Quella del dipendenti pubblici “fannulloni”, del personale in eccesso, della spesa improduttiva. Una retorica che ha ingigantito problemi marginali per giustificare politiche destinate ad aggravare problemi reali. Quelle dei tagli e dei sacrifici, del crollo degli investimenti pubblici, del blocco del turnover e della contrattazione nazionale. Che si stanno traducendo nello sfascio dei servizi pubblici, nel personale che è in tutta Europa tra il più vecchio, peggio pagato e numericamente carente rispetto al numero di abitanti.

Lo scandalo non è quindi che Sindaca e confederali denuncino il problema e non vogliano rispettare i limiti del bilancio, la gabbia del patto di stabilità. Il problema è che lo facciano solo adesso, che non lo facciano ogni giorno, con abbastanza forza e convinzione.
Da una parte la Giunta pentastellata non ha più fatto sapere niente di quell’audit sul debito annunciato in campagna elettorale e anzi negli ultimi bilanci ha orientato la sua politica finanziaria soltanto verso il rispetto dei sacrifici imposti dal piano di rientro varato da Marino. Lo stesso piano di razionalizzazione delle partecipate firmato dall’ex-assessore Colomban va in questa identica direzione. Per quanto riguarda la più grande delle partecipate, ATAC, i cui lavoratori sono in sottorganico certificato e hanno visto l’aumento dei carichi e dell’orario di lavoro proprio per sopperirvi, la scelta di ricorrere al concordato preventivo anziché pretendere risorse per ricapitalizzare l’azienda rappresenta una vera e propria capitolazione.
Dall’altra ancora peggio fanno i sindacati confederali, che in questi anni in nome degli “inevitabili sacrifici” hanno accettato di tutto e rinunciato a dare battaglia per davvero: dall’aumento dei carichi di lavoro in ATAC al rinnovo contrattuale al ribasso nell’igiene ambientale, dal taglio del salario accessorio degli amministrativi (bocciato poi con un referendum!) alla precarietà che dilagava tra le maestre degli asili nido.
Lasciando soli i lavoratori, spesso coraggiosamente difesi solo dai sindacati di base, nelle tante azioni di protesta e di contrasto che sono comunque riusciti a portare avanti.

Nel farlo si sono scontrati anche col clima di diffidenza e odio che anni di propaganda padronale sono riusciti a creare nella cittadinanza nei confronti di chi, per il semplice fatto che (forse) ha ancora qualche diritto, viene considerato un privilegiato. Lavoratori a cui si attribuisce lo stesso sfascio del servizio pubblico che sono i primi a soffrire, per il peggioramento delle condizioni di lavoro che questo comporta. Lo sfascio dovuto ai tagli, alla scarsità di risorse, alla carenza di personale, appunto.
Per superare questo muro di diffidenza c’è bisogno di indicare con precisione i nemici, sfidare i limiti imposti dal pareggio di bilancio, dal patto di stabilità, contestare il ricatto del debito. Bisogna denunciare la corruzione reale, che è quella legale, che ci sta privando di tutto e costringendo a pregare per avere quello che ci dovrebbe spettare di diritto. Puntando magari sulla compiacenza di qualche sindacalista connivente, che in cambio di qualche favore si compra la nostra tessera e il nostro assenso, che poi rivende all’azienda ottenendo forse in cambio qualche promozione.
C’è bisogno, insomma, di una cultura della lotta e dei diritti, altrimenti il consociativismo cacciato dalla porta tornerà dalla finestra.

Rete Camere Popolari del Lavoro