Dalla California d'Italia nuove storie di sfruttamento dei nostri braccianti

Abbiamo iniziato a definirla la ‘California d’Italia’. Molti credono che l’epiteto faccia riferimento alle bellezze di un luogo, al dolce clima e alle splendide spiagge. Niente di più lontano dalla realtà.

O, quanto meno, non è questo che si tenta di evocare quando ad essere al centro dell'attenzione tornano ad imporsi storie di sfruttamento di lavoratori impoveriti e disperati, come le tante storie dei nostri braccianti, migranti e non, ridotti in condizioni di semi-schiavitù nelle campagne italiane da nord a sud. La California è nota per essere uno dei principali produttori ed esportatori al mondo di prodotti agro-alimentari, in particolare pomodori e altri ortaggi. La California è, anche, tristemente nota per essere uno dei principali produttori ed esportatori al mondo di uno specifico modello di sfruttamento di forza lavoro effimera, possibilmente disperata, quindi per lo più migrante, perché più ricattabile e meglio gestibile, con o senza l'ausilio dei caporali, capi neri o gangmasters che dir si voglia. È questo il modello di produzione e sfruttamento prevalente anche da noi.

In uno scenario internazionale apertamente capital-friendly, in cui da più di vent'anni si conduce una dura lotta al lavoro, e in un contesto nazionale come il nostro, in cui governo e parti sociali spianano la strade a nuove forme di lavoro sempre meno tutelate, quando parliamo di grave sfruttamento nelle nostre campagne, non parliamo di un'anomalia, non parliamo di casi isolati. È il capitalismo a creare le condizioni per il ritorno della 'schiavitù moderna'.

Di seguito segnaliamo e invitiamo alla lettura di due interessanti articoli sulle condizioni di grave sfruttamento di braccianti rilevate nella produzione del Made in Italy nella Piana del Sele:

- Dalla "California d'Italia" le insalate in busta prodotte sfruttando i braccianti
- Il caporalato con il contratto, ecco lo sfruttamento a Salerno



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