Cronache di una vita da stagista

Ripubblichiamo un contributo del Collettivo Autorganizzato Universitario di Napoli che focalizza sulla questione degli stage e dei tirocini. Che siano in taluni casi tutt'altro che formativi e in altri necessari nel percorso di studi, di sicuro il dato che salta fuori è come il ruolo che queste forme "lavorative" stanno assumendo è sempre più quello di un modello di sfruttamento di forza lavoro, giovane per lo più, e a basso costo... anzi, gratuita.
Probabilmente è il motivo per le quali sono nate: un concreto rapporto di lavoro subordinato senza garanzie, senza salario, senza diritti e senza obbligo di assunzione al termine del periodo di tirocinio. Non stupisce quindi che, fin nell'università e ancor prima nella scuola, certe questioni siano un pezzo centrale del dibattito e dell'investimento politico da parte degli studenti, laddove i confini tra formazione e lavoro, con maggior velocità nella crisi, tendono ad assottigliarsi man mano che i rapporti di mercato investono in maniera sempre più intensiva ed estensiva ogni ambito (a partire poprio da scuola e università).

da caunapoli.org

C'è crisi.
Tante, sicuramente troppe volte negli ultimi anni abbiamo sentito questa breve ma intensissima frase, come fosse una spada di Damocle sulle nostre teste. Quasi una sentenza definitiva, che – a voler dare retta a televisioni e giornali – pare doverci accompagnare in ogni momento della nostra vita, quasi fosse uno sfondo necessario. Ma necessario per chi?

I tempi di crisi, appunto, una risposta ce l'hanno data: più che una ''molla'' in grado di trasformare la rassegnazione in rabbia o i sentimenti ''anticasta'' in partecipazione politica, “c'è crisi” ha finito per essere il leit motive dietro cui grandi e piccoli imprenditori, governanti e lacchè hanno sferrato attacchi su attacchi nei confronti di chi questa crisi la subisce, da sempre, in prima persona. Riduzione dei salari, delocalizzazioni produttive verso quei paesi dove gli stipendi e le tutele lavorative sono decisamente inferiori, se non del tutto assenti, utilizzo sempre più massiccio di forme contrattuali atipiche – ma ampiamente normalizzate - super flessibili e super precarie.

C'è crisi. L'emergenzialità del momento – questo ci ripetono a destra e manca - c'impone di essere veloci, di dare risposte rapide e concrete e che, soprattutto, non ammettono repliche. La soluzione sembra essere solo una: superare le divisioni classiste, rimboccarsi le maniche e remare tutti insieme per il bene del paese. Ma cos'è questo fantomatico “bene del paese”? Sarebbe meglio dire il bene di una parte del paese, non certamente quella di lavoratori, precari e non, pensionati, studenti, migranti a cui politicanti e impreditori hanno imposto, negli ultimi anni in particolare, politiche lacrime e sangue fatte di tagli continui alla sanità, all'istruzione, di privatizzazioni e dismissioni del patrimonio pubblico.

Ma il vero filo conduttore di tutte le soluzioni proposte è senza dubbio il tentativo di ridisegnare il mercato del lavoro e il suo funzionamento. Padroni e padroncini, infatti, sanno meglio di tutti che per far ripartire l'economia e rilanciare i profitti l'unica cosa da fare per loro è aumentare lo sfruttamento della forza lavoro, tanto agendo sui tempi di lavoro (allungando gli orari tramite straordinari obbligatori sempre più frequenti, per esempio) quanto sul livello retributivo, creando numerosi escamotage per ridurre i salari, indebolire le tutele sindacali all'interno dell'azienda e accantonare qualsiasi altro diritto conquistato - è sempre bene ricordarlo - dai precedenti cicli di lotte dei lavoratori.

E' proprio in questo contesto che si inserisce la questione legata alla creazione e all'enorme diffusione di nuovi strumenti di sfruttamento come i cosiddetti stage e tirocini formativi. Ma cosa si nasconde dietro questi termini?
Gli stage e i tirocini furono introdotti nel nostro paese nel 1997 dal cosiddetto “Pacchetto Treu” che dava la possibilità ad aziende private ed enti pubblici di “assumere” dei giovani tirocinanti per un periodo dai 4 ai 12 mesi in modo tale da “favorire” il loro inserimento nel mercato del lavoro, sempre all'interno di un percorso formativo e di orientamento.
La norma, però, vietava esplicitamente la natura subordinata del rapporto di lavoro e non riconosceva il diritto alla retribuzione, alle ferie e al preavviso in caso di licenziamento: insomma, un vero e proprio contratto di lavoro ma senza la retribuzione e le tutele riconosciute ai lavoratori subordinati!
L'obiettivo dichiarato dall'allora ministro del lavoro del Governo Prodi era quello di creare una “maggiore sinergia” tra università, scuola e aziende private ma, dietro questo ormai più che ventennale intento (non a caso ripreso anche dall'attuale ministro dell'istruzione Carrozza), si nascondeva il vero obiettivo della norma: garantire alle imprese manodopera giovane, non pagata, senza diritti e senza obbligo di assunzione al termine del periodo di tirocini.

A distanza di quindici anni è sotto gli occhi di tutti che l'utilizzo dei tirocini e degli stage sia aumentato in maniera esponenziale soprattutto in seguito allo scoppio della crisi attuale, che ha visto migliaia di aziende private ed enti pubblici utilizzare questi strumenti nel tentativo di ridurre i costi di manodopera e provare a recuperare i profitti persi in questi anni. Ovviamente, l'utilizzo sproporzionato di questi strumenti è servito alle imprese anche per alimentare un livellamento verso il basso dei salari (obiettivo già perseguito con la minaccia di delocalizzazioni e licenziamenti), e per creare forme lavorative sempre meno “problematiche” e “libere” - per il padrone di turno, of course! - da qualsiasi onere giuridico ed economico.

Tanti sono stati i tentativi di ''regolare'' il fenomeno, sempre a favore delle aziende: pensiamo, ad esempio, all'introduzione di tirocini obbligatori nei piani di studi universitari che costringono migliaia di studenti a lavorare senza retribuzione e a rallentare il proprio percorso di studi senza che questa esperienza, tra l'altro, possa realmente facilitare il suo ingresso nel mondo del lavoro, sia per l'inutilità del tirocinio stesso (quanti di voi hanno svolto un tirocinio fatto solo di fotocopie e piccole ed inutili mansioni?) sia per l'impossibilità di essere assunti dall'azienda ospitante. C'è da considerare, tra l'altro, che questo permette alle aziende di coprire a costo zero dei vuoti che potrebbero essere riempiti da lavoratori assunti regolarmente!

Nonostante l'introduzione da parte di alcune regioni di rimborsi spese minimi appare evidente come i tirocini restino dei potentissimi strumenti nelle mani dei padroni mentre costringono ogni giorno più di 300 mila giovani a lavorare in forme che definire neo-schiaviste non è un'esagerazione, pur di rimanere competitivi e di “fare curriculum”!
Secondo i dati raccolti da Unioncamere Toscana le esperienze di stage che hanno condotto a un rapporto lavorativo continuativo sono solo il 9%, mentre il restante 91% è costretto a barcamenarsi tra un altro tirocinio non retribuito o un altro lavoro a nero altrettanto sottopagato e sfruttato. Altro che ''agevolare le scelte dei giovani”! Quello che si agevola concretamente, per le migliaia di persone costrette ogni anno a piegarsi al ricatto di queste forme contrattuali, è la continua entrata e uscita dal mondo del lavoro, ogni volta sotto condizioni peggiori di quella precedente.

Ormai sono tanti anni che lottiamo contro l'utilizzo dei tirocini come veri e propri rapporti di lavoro e contro la loro diffusione nelle scuole e nelle università, siamo stanchi di farci sfruttare quotidianamente per alimentare i profitti di quei padroni che, con la scusa della crisi, provano ad eliminare quelle poche tutele che i lavoratori possono ancora rivendicare ed alimentano una guerra fra poveri che ha come solo risultato quello di dividerci, indebolirci e renderci meno pericolosi.
Crediamo che ora più che mai sia necessario organizzare, dare voce, forza, progetto a tutta la rabbia che loro tentano di placare, perchè questa possa effettivamente provare a incidere sull'esistente e a rovesciarlo!

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