La vera emergenza è la disoccupazione - e la cattiva occupazione!

Oggi sono su tutti i giornali i dati di una ricerca IRES CGIL che fotografa la tragica situazione del mondo del lavoro in Italia. Dal 2008 siamo passati da 23 milioni e 376 mila lavoratori occupati a 22 milioni e 919 mila: quattro anni di crisi hanno cioè fatto fuori circa 456 mila lavoratori, mentre allo stesso tempo il numero delle persone in età di lavoro è aumentata di circa 500mila unità. Il tasso di disoccupazione supera così l’11%: i senza lavoro in Italia sono cioè quasi tre milioni, ai quali bisogna peraltro aggiungere le centinaia di migliaia di cassaintegrati e di scoraggiati, che ormai un lavoro non lo cercano proprio più...

Ma anche chi ha la fortuna di avere un lavoro lavora male, in condizioni più pericolose, con salari più bassi di quattro anni fa, e in maniera più precaria. Mentre da un lato la forza lavoro esistente viene sfruttata dal padronato con turni di straordinari obbligatori, dall’altro lato si riduce l’impiego di dipendenti stabili a tempo pieno e proliferano i contratti part-time e a progetto. Tanto che nel 2012 solo il 17,2% delle nuove assunzioni è avvenuto a tempo indeterminato! Questo rende i lavoratori più ricattabili, perché in queste condizioni e con la minaccia del licenziamento o del mancato rinnovo nei posti di lavoro non si può formare un senso collettivo e non si possono organizzare forme di resistenza.
Ecco come le riforme degli anni ’90, messe in campo prima dal centrosinistra (proprio quel centrosinistra che ora con Bersani si vorrebbe presentare come “socialdemocratico”!) e poi approfondite dal centrodestra, hanno distrutto i diritti anche minimi dei lavoratori… Con la complicità del sindacato confederale che negli ultimi venti anni non ha fatto niente per proteggere i lavoratori, soprattutto i giovani e gli immigrati.

All'area del mancato lavoro si aggiunge, quindi, quella del disagio nel lavoro: secondo l’IRES sono oltre 4 milioni i lavoratori che nel 2012 sono dipendenti a tempo determinato o assunti in part time non per scelta ma perché non hanno trovato di meglio. Così la ricerca finisce anche per smentire tutta la “narrazione” dei padroni (e di qualche stupido “innovatore” di “sinistra”): ben il 93,2% dei lavoratori a termine e dei collaboratori dichiara che vorrebbe un lavoro stabile, garantito e a tempo pieno - cioè a salario pieno. Altro che retorica della “flessibilità” e “in favore della scelta personale del lavoratore”…

Ma il problema non è solo italiano. L’ultimo rapporto della BCE sul mercato del lavoro ammette che la vera emergenza nell’area euro non è lo spread ma la disoccupazione. Tra il 2008 e il 2011 l’Europa ha perso 4 milioni di posti di lavoro, arrivando così a ben oltre diciotto milioni di disoccupati: un elevato tasso di disoccupazione (siamo intorno all’11,6%) sembra essere diventata una caratteristica strutturale dell’economia europea).

Come sottolinea Domenico Moro analizzando questi dati, le politiche della borghesia e di chi ci governa in questo contesto tendono “a ricostituire un ampio ‘esercito industriale di riserva’, che consista di lavoratori a tempo che possano essere agevolmente inseriti e dismessi a seconda dei cicli di una economia che è destinata a mantenersi per chissà quanto tempo a un bassissimo tasso di crescita […] Visto che le riduzioni salariali e del costo del lavoro non hanno mai creato maggiore occupazione, l’obiettivo reale delle riforme del mercato del lavoro è quello di contrastare la sempre più agguerrita concorrenza mondiale comprimendo i salari di milioni di lavoratori a livelli di sussistenza o addirittura al di sotto di tale livello”.

Di fronte a questo scenario catastrofico, che persino la BCE non può più nascondere, urge lottare e organizzarsi. Perché, anche se la rappresentazione mediatica riesce a nasconderlo, noi – studenti senza futuro, disoccupati, cassaintegrati, lavoratori in nero, a contratto, a progetto, stabili – siamo la maggioranza!

Qui lo studio dell’IRES
Qui il documento integrale della Banca Centrale Europea
Qui un analisi di Domenico Moro

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