La paura fa 60(%). E ora i sacrifici li facciano i padroni!

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Il Governo più antioperaio degli ultimi 30 anni se ne è andato a casa, sommerso da una valanga di voti come non si vedeva da tanto tempo. Se ne è andato un Premier che ha spacciato per innovazione e modernità il ritorno a rapporti di lavoro ottocenteschi: l'assenza di tutele dal licenziamento ingiustificato, l'individualizzazione del rapporto col padrone, il lavoro minorile dell'alternanza scuola-lavoro, la liberalizzazione dei voucher.

Mentre la crisi inaspriva la concorrenza, la disoccupazione dilagava e l'arroganza dei padroni cresceva, queste misure e i tagli alla spesa sociale hanno portato a un impoverimento di milioni di cittadini. Non solo disoccupati, ma anche lavoratori a rischio di perdere un lavoro che si faceva sempre più precario, logorante, mal pagato, con il miraggio sempre più lontano della pensione.

A questi milioni di persone il Governo ha provato a vendere come innovazione, come "cambiamento", la riforma di quella Costituzione che, almeno a parole, vorrebbe tutelarli. Ha provato ad accusare le regole del gioco per assolvere il gioco stesso e il suo principale interprete: il Governo, appunto, che proprio da questa riforma ne sarebbe uscito rafforzato. 

A giudicare dalle prime analisi di voto, ma anche dalle impressioni raccolte dalla campagna referendaria che abbiamo portato avanti in prima linea, sono proprio queste persone le prime ad aver respinto con un sonoro NO l'ultimo travestimento assunto da quest'ideologia tanto vuota quanto arrogante.

Eppure Renzi aveva provato in tutti i modi a recuperarli: dall'accordo quadro sugli statali a quello sull'anticipo pensionistico, fino alla pantomima con la UE sulla flessibilità nella manovra finanziaria. Al suo fianco aveva avuto le maggiori organizzazioni sindacali. Non solo la Cisl, eplicitamente allineata sulla posizione governativa rispetto alla riforma costituzionale, e la Uil, tacitamente favorevole, ma persino la CGIL che, nonostante la posizione contraria sul referendum, ha di fatto fornito importanti assist al Governo, in primis firmando un pessimo rinnovo contrattuale del settore metalmeccanico a pochi giorni dalla consultazione.

Tutto questo non è bastato. Questa sorta di ritorno, rinnovato, alla concertazione non è bastato a recuperare un consenso ormai perduto. Rimane però il suo impianto. Rimane in piedi quel neo-corporativismo fatto di lievi concessioni padronali, di sindacati che si trasformano in gestori ed erogatori di servizi (quando non di favori) e di tanto, aspro, sfruttamento: aumento dei carichi e degli orari di lavoro, straordinari obbligatori, salari vincolati all'inflazione reale e alla produttività, la privatizzazione del welfare.

Il malcontento operaio, quindi, rimane e non può che rimanere. A sedarlo è solo il perenne ricatto della disoccupazione, che rende accettabile l'inaccettabile e lo fa sfogare per lo più fuori dai luoghi di lavoro, alimentando lo spettro dei cosiddetti "populismi". Ma spesso erompe dentro i luoghi di lavoro stessi, in innumerevoli, ma ancora frammentate, vertenze, che quasi sempre finiscono per scontrarsi con le politiche dei sindacati confederali. 

Queste incrinature del sistema neocorporativo sono quelle che dobbiamo far deflagrare, perché una volta caduto il Governo di Confindustria non ne nasca un altro, perché, anzi, non venga colpito solo lui, ma l'intero complesso di interessi che rappresentava. Questi mille focolai di lotta esprimono istanze irrecuperabili dalle destre, che non si sognano minimamente di mettere in discussione il regime di comando sempre più nocivo che dilaga nelle aziende e che ai loro amici padroni regala i profitti che gli servono per sopravvivere alla crisi. 

Su queste allora dobbiamo insistere, proprio ora che i padroni hanno preso una botta che non si aspettavano. Devono essere sommersi da una valanga di NO: no al nuovo, pessimo, CCNL dei metalmeccanici, che sarà votato il 19, 20 e 21 Dicembre; no all'anticipo pensionistico contenuto nella manovra ancora da approvare; no alle briciole per i lavoratori pubblici previste da un accordo che probabilmente salterà. Insieme ai tanti piccoli no all'umiliazione e mortificazione quotidiana di chi lavora.

Diamo coraggio ai nostri, facciamo paura a loro.

Rete Camere Popolari del Lavoro