Le verità che nessuno racconta sulla crisi delle banche italiane

Per settimane Governo, giornali e televisioni ci hanno raccontato che le banche italiane sono “le più solide d’Europa” e che il caso di Etruria e di altre banche popolari sono “casi isolati”. Poi è bastato che girasse la voce che la Banca Centrale Europea aprisse una nuova inchiesta su sofferenze e crediti deteriorati e… boom!

Piazza Affari è crollata, con le banche che tirano giù l’intero listino, e già si pensa a possibili aumenti di capitale o a eventuali piani di salvataggio.

Ma perché sta succedendo tutto questo casino?


Perché evidentemente i mercati sanno che i bilanci delle banche italiane non sono così in ordine e che, soprattutto, non sono state effettuate le svalutazioni necessarie rispetto ai crediti problematici che ogni istituto ha in pancia. Le grandi banche nel 2015 hanno annunciato risultati straordinari e utili da capogiro, ma più d’uno negli ambienti finanziari sospetta che ciò sia stato possibile solo grazie a una valutazione estremamente benevola delle possibili sofferenze.

Prendendo per buoni i dati forniti dalle banche in Italia le sofferenze lorde ammontano ad oltre 201 miliardi di euro, tanto da essere ai primi posti in Europa insieme a Grecia, Spagna e Irlanda. Le sofferenze italiane però presentano due particolarità rispetto a quelle degli altri paesi:

1) non sono legate all’immobiliare;
2) si concentrano nel segmento corporate (grandi aziende) e non in quello retail (clienti al dettaglio).


In parole povere, in Italia a non ripagare i finanziamenti non sono i piccoli clienti che hanno contratto un mutuo ma le grandi imprese. Ciò pone agli istituti di credito diversi problemi perché un finanziamento che ha a garanzia un immobile, per quanto questo si possa svalutare, permette comunque alla banca di recuperare, in caso di insolvenza, una parte del finanziamento. Mentre un chirografario (prestito senza garanzie) concesso a una azienda spesso lascia la banca a bocca asciutta.


Ma la cosa più interessante che si evince dall’analisi delle sofferenze delle banche italiane è un’altra. Se le banche italiane si trovano in questo stato non è perché dal 2008 ci sono state due recessioni, ma perché i grandi gruppi imprenditoriali italiani hanno usato gli istituti di credito come i loro bancomat personali (vedi i casi di Ligresti, Gavio, Zunino etc…).


Mentre con i “piccoli” le banche sono estremamente severe nel concedere i prestiti, con i “grandi” agiscono in maniera disinvolta, senza acquisire le necessarie garanzie e accertarsi delle reali capacità reddituali. Come dimostrano le statistiche internazionali, la grande borghesia italiana “lavora” non con i “soldi” propri, ma con quelli delle banche, trasmettendo nei fatti a quest’ultime il rischio di impresa.

È bene notare, inoltre, che i finanziamenti alle grandi imprese sono gestiti direttamente dai top manager, quelli famosi per gli stipendi d’oro e i super-premi. Ma perché i banchieri non fanno gli interessi delle banche ed erogano finanziamenti a chi non è in grado di ripagarli o semplicemente intasca i soldi e scappa?


Anche in questo caso la risposta è semplice: perché i banchieri, a differenza di quanto siamo portati a pensare, non sono i proprietari delle banche ma sono semplicemente coloro che le amministrano. Basta vedere gli assetti azionari per capire come la proprietà delle banche è estremamente frammentata e spesso siamo indirettamente, noi, attraverso il nostro fondo pensione e il nostro piccolo fondo di risparmio, ad essere i reali proprietari delle banche. In Italia il controllo delle banche è in buona parte nelle mani delle fondazioni bancarie i cui vertici sono nominati da enti pubblici e quindi dalla politica. Essendo, come tutti sanno, la politica in Italia espressione della grande e media borghesia, i banchieri non possono che fare gli interessi dei loro padroni… Le banche italiane si riducono così ad essere semplici strumenti per drenare risorse dai “piccoli” (risparmiatori, mutuatari, richiedenti prestito) ai “grandi” (affaristi, speculatori, top manager, azionisti di grandi aziende).


Per concludere: in Italia banchieri, grandi imprenditori, politici e amministratori di alto livello, formano un blocco di potere che vive (molto bene) sulle spalle di lavoratori dipendenti, di piccoli risparmiatori, di lavoratori autonomi, che invece, anche se lavorano duramente, sono costretti a tirare la cinghia. Sfruttando la maggioranza, e sedandola attraverso il controllo della politica e dei media, questo blocco di potere riesce a garantirsi una quota di profitti sufficiente per andare avanti nel lusso.

In tale quadro, le banche vengono utilizzate da questo blocco di potere per estorcerci altra ricchezza. Ma le banche non sono altro che gli istituti che gestiscono la ricchezza dell’intera società, e pertanto devono essere amministrate dal popolo e nell’interesse del popolo che produce tale ricchezza.

Ci dobbiamo quindi rendere conto al più presto che non siamo tutti sulla stessa barca, e che molte delle divisioni che ci impongono (italiani contro immigrati, precari contro garantiti, giovani contro vecchi, lavoratori del privato contro lavoratori del pubblico etc) sono del tutto artificiali, utili a non farci riconoscere la sola divisione che conta: quella fra un piccolo blocco di potere formato da banchieri, grandi aziende e apparato politico-istituzionale e noi, la maggioranza della società.

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