Fascismo e sindacato: cos'è successo all'SDA di Roma?

Nella mattina di Martedi 19, di fronte ai cancelli dell’SDA di Roma è avvenuto un fatto gravissimo: il picchetto che portava avanti lo sciopero ed il blocco delle merci è stato aggredito con mazze e bottiglie da una squadraccia guidata da capetti e dirigenti e sostenuta da diversi driver (i fattorini che guidano i furgoni delle consegne). 4 facchini in ospedale feriti gravemente e diversi compagni contusi.

La polizia ha assistito inerme e quando è intervenuta chiamando rinforzi si è limitata a smobilitare il picchetto lasciando invece a piede libero gli aggressori. Un fatto ormai noto e ampiamente circolato tra i canali comunicativi del movimento.

Una lettura diametralmente opposta dell'accaduto è stata invece proposta dai sindacati confederali FILT-CGIL FIT-CISL e UILTrasporti. Secondo il loro comunicato la violenza sarebbe quella dei lavoratori del SiCobas che volevano impedire l’accesso al posto di lavoro ad altri lavoratori. Quest'ultimi avrebbero semplicemente reagito alle “provocazioni e coercizioni subite” solo perché costretti.
Quello che abbiamo visto noi è molto diverso, lo ricordiamo chiaramente e coincide con : facendosi scudo e aizzando un nutrito gruppo di drivers incazzati all’idea di perdere le commesse, una coppia di capetti, uno della cooperativa, uno responsabile per l’azienda, si son presentati con manganelli telescopici, caschi ed altri arnesi spaccando teste (un lavoratore ha subito la frattura dell’orbita oculare e rischia di perdere un occhio) ed aprendosi un varco nel picchetto che è però riuscito a resistere fino a quando non è intervenuta la Celere, accorsa poco dopo. Per il dispiacere dell’azienda e dei suoi sgherri questo non ha però impedito allo sciopero di andare avanti fino all’ora di pranzo, costringendo i corrieri a caricare a mano i propri pacchi.

Nel loro goffo tentativo di giustificare l’accaduto, i sindacati confederali finiscono paradossalmente per riconoscere le proprie responsabilità, sostenendo che “fascisti e gli squadristi da loro [=da noi!] individuati, in realtà, altro non erano che i nostri iscritti, esasperati dall’ennesima privazione della loro libertà e preoccupati di poter perdere la loro unica fonte di sostentamento economico”. Come ha , si tratta di un'ammissione in piena regola di essere tra i protagonisti dell'aggressione squadrista. Un'aggressione di cui si ribadisce e conferma la natura fascista nel momento stesso in cui si pretende di negarla: cos'è infatti se non uno dei principali ingredienti del fascismo quella violenza scatenata dalla paura di compromettere il proprio tornaconto individuale rivolta contro chi si batte per gli interessi collettivi? Una reazione che fa il gioco dei propri carnefici, i padroni e le aziende che sfruttano e alimentano questa stessa paura e col cui interesse si finisce miserabilmente per identificarsi, blaterando di perdita di “fatturato e di importanti quote di mercato, a seguito dei continui e quotidiani scioperi del Si Cobas”, come continua il comunicato dei confederali.

In questo modo il sindacato si trasforma da strumento di difesa degli interessi collettivi dei lavoratori a cinghia di trasmissione dei dettami aziendali, realizzando quel sistema corporativo che secondo lo stesso Mussolini rappresentava l'essenza del fascismo. E' proprio quando si nega la necessità della lotta di classe che si finisce inevitabilmente per portare “ceti appartenenti alla stessa classe sociale [a] fronteggiarsi tra loro”, che si finisce per accettare e quindi inasprire le divisioni alimentate e promosse dai padroni. Come quelle che separano i facchini che muovono le merci dentro il magazzino, per lo più immigrati, e che hanno scioperato compatti ed uniti senza doversi scontrare con nessun loro collega, e i fattorini che le portano fuori. Questi ultimi – illusi dai miraggi dell' “autoimprenditorialità” o semplicemente attaccati ai magri guadagni delle commesse, per lo più italiani, spesse volte titolari dell'attività di consegna (“padroncini”) o semplicemente pagati a cottimo – hanno preferito schierarsi dalla parte dell'azienda. Il sindacato, agendo in questo modo, ne conferma e approva la scelta, facendo sembrare immodificabile una situazione che potrebbe essere benissimo combattuta e superata, come hanno recentemente dimostrato i loro colleghi drivers iscritti al SI COBAS della GLS di Santa Palomba, che in virtù delle lotte passate e anche del sostegno dato e ricevuto ai facchini, hanno strappato un importante accordo proprio in questi giorni.

Come fatto notare da alcune aree critiche della CGIL stessa, “compito del sindacato sarebbe quello di unire i lavoratori nella lotta, anzichè di giustificare le paure dei settori più arretrati, che li conduce addirittura ad aggredire altri lavoratori come loro, per schierarsi nei fatti con la propaganda padronale”. Tutto questo in nome della difesa di principio della “libertà di lavorare” che, attaccando e delegittimando gli strumenti a cui i lavoratori sono costretti a ricorrere per resistere al dispotismo padronale (come i blocchi e i picchetti), si traduce di fatto nell'obbligo ad essere sfruttati. Si avalla così quella concorrenza tra sfruttati che assume i connotati di una vera e propria guerra tra poveri, nelle forme del crumiraggio, del servilismo, fino al vero e proprio squadrismo, quello condito di tutto un armamentario di retorica razzista (questa sì!) di certo “non consona ad una paese che si dice democratico”!

Una condotta opposta a quella del SICOBAS e alla lotta dei suoi iscritti per il miglioramento delle condizione lavorative che a Roma è iniziata proprio all'SDA e che proprio attraverso gli scioperi e blocchi ha portato, tra l'altro, a notevolissimi aumenti salariali, all'allontanamento dei caporali razzisti e alla cessazioni dei comportamenti discriminatori. Inevitabile che di fronte al conseguente aumento del costo del lavoro e alla perdita di controllo su una manodopera non più disposta a cedere a diktat arbitrari e dispotici, l'azienda sia costretta a prendere le sue contromisure. Per questo, ad esempio, proprio a Roma corrono voci tra i lavoratori sull'aumento dei carichi di lavoro e sui modi in cui l'azienda riesce ad aggirare le norme sulla sicurezza. Per questo a livello nazionale l'SDA era stata così reticente nel firmare l'accordo che il SICOBAS ha strappato alle altre multinazionali del settore, per questo l'azienda aveva deciso di far fuori più di metà dei lavoratori presenti nel proprio Hub di Bologna. Difendere i piani dell'azienda in nome delle necessità imposte dal mercato, come stanno facendo i confederali in questo momento, significa allora piegarsi a questa strategia antioperaia volta a recuperare i profitti persi e a reimporre le solite vecchie condizioni infami di sfruttamento solo per ricavarsi un misero spazio di tutela dei propri iscritti, secondo una logica che privilegia “l’interesse particolare, corporativo e aziendalista”, come dice un'altra voce critica della CGIL.

Per questo è così importante supportare la resistenza dei facchini SDA, per questo, come abbiamo scritto, è una lotta che ci riguarda tutti. Da una parte stanno i padroni, gli apparati repressivi dello Stato e il loro particolare concetto di legalità, quella invocata ancora una volta dai sindacati confederali in un altro comunicato in cui chiedono l'intervento del ministero dell'Interno al “tavolo della legalità nella logistica”, a cui evidentemente non preoccupano i comportamenti palesamenti antisindacali dell'azienda che, ricordiamo, a Bologna ha portato avanti una illegalissima serrata per una settimana!
Dall'altra parte sta la solidarietà di classe, quella “temibile” arma a disposizione degli sfruttati che si è manifestata Martedì sera stesso con gli scioperi e le assemblee di solidarietà ai facchini romani presso l'SDA di Carpiano, di Brescia, di Bergamo, di Padova e che ha fatto in modo che si respingessero al mittente le minacce dell'azienda di non riammettere al lavoro i facchini romani che hanno scioperato, ma anzi ha permesso di allontanare i capetti squadristi. Solidarietà e determinazione che è anche alla base della parziale vittoria a livello nazionale che ha ridimensionato l'originale piano di licenziamenti presso l'hub bolognese.

Un risultato che rappresenta un punto di partenza più che un punto di arrivo, una base per l'estensione di ulteriori diritti e garanzie, un'arma con cui resistere all'offensiva che i padroni scatenano costantemente e in forme sempre diverse. Perché la lotta che portiamo avanti come classe non finisce mai, è un concentrato di contraddizioni in cui si insinuano i fenomeni più cruenti e morbosi, fatti della carne e del sangue gettati nella fatica quotidiana del lavoro o nello scontro fisico contro chi vuole imporre il suo massimo sfruttamento. In questo continuo tira e molla dobbiamo saper riconoscere e denunciare i volti sempre diversi e sempre uguali del fascismo, saperlo combattere e respingere.

Perché il dialogo deve sapersi attrezzare per far valere le proprie condizioni.

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