Uniti... e inflessibili! Alcune considerazioni sui metalmeccanici in piazza

Sono passate ormai più di due settimane dalla manifestazione convocata dalla FIOM il 28 Marzo. Due settimane in cui il nostro sito non ha potuto essere operativo perché le forme della repressione padronale sono molteplici e tentacolari... ma anche le forme della resistenza lo sono!

Non ci pare inutile tornare allora a quella bella giornata di sole e classe operaia, mentre in questi giorni, come si può evincere da un sondaggio analizzato da Repubblica, si è andata confermando qualcosa che sosteniamo da tempo: il Governo Renzi è una bolla speculativa, cresce finché si alimenta dei successi mediatici e di una presunta capacità di gestire le situazioni, ma come compare una crepa il giochino può incepparsi. E questa crepa potrebbe essere rappresentata proprio da quello su cui sta puntando di più, la riforma del lavoro. E così mentre il governo e il suo codazzo di giornalisti prezzolati taccia di vecchiume e di minoritarismo in via di estinzione le migliaia di lavoratori in piazza, si scopre che la maggioranza del paese concorda con le proteste! A noi il compito di radicalizzare, estendere, amplificare questo dissenso, sottranedolo agli opportunismi. Per questo è importante tenere a mente alcuni fatti:

1. Renzi si è subito affrettato a minimizzare la riuscita della manifestazione, sostenendo che l’opposizione del leader della FIOM Landini sia un fenomeno televisivo, del pari di quella di Salvini. Il leader leghista, però, nonostante l’enorme clamore mediatico che l’aveva accompagnato, Piazza del Popolo non l’aveva riempita. Inoltre era riuscito a suscitare un’opposizione di sinistra ed esplicitamente anti-Renziana ancor più consistente e con numeri paragonabili a quella della FIOM. Il codazzo di articoli che liquida l’evento parlando di “minoranza di sconfitti”, di “vecchi nostalgici”, ecc., fa da sponda ad un Governo che ha esautorato il parlamento e si accinge a svuotarlo sempre più di senso ed il cui consenso deriva dai fallimenti di chi l’ha preceduto e da misure, come i famosi 80 euro, destinate ben presto a perdere la loro presa sulla maggioranza del Paese.

2. In piazza c’era, invece, il cuore produttivo del Paese. Fincantieri appunto, Fiat, Electrolux, AST, ecc. complessi industriali che più che essere in crisi, la crisi la sanno usare bene, a differenza nostra. Con la scusa di una competizione globale che si inasprisce sempre più, esternalizzando, minacciando delocalizzazioni e chiusure, ridisegnano le relazioni industriali del paese mandando al macero conquiste maturate con decenni di lotta e mettendo in discussione agibilità sindacale, ritmi di lavoro, sicurezza, orari. Più che un segnale di smantellamento definitivo del nostro apparato industriale, tutto questo potrebbe rappresentare la base del suo rilancio, frutto del contemporaneo aumento del costo del lavoro nei paesi emergenti e del suo calo progressivo nei paesi “avanzati”, come sostiene addirittura il CNEL nel suo ultimo rapporto.

3. Il Governo Renzi è l’espressione istituzionale di questo processo, e proprio per questo ha deciso - e non può fare a meno! - di rompere ogni mediazione, come mai un governo di centro-sinistra si era sognato di fare. Il Jobs Act ne è la conseguenza logica, nonché precisa traduzione giuridica, e mentre su questa misura costruisce la propria credibilità davanti all’Europa e Confindustria e prova a guadagnare consenso elettorale, si ritrova una piazza che ne fa suo esplicito bersaglio. Mentre la retorica governativa prova a mistificarli ed occultarli, i suoi effetti reali cominciano già a sentirsi: così la testa del corteo era aperta dagli operai della Fincantieri a cui l’azienda vorrebbe inserire un microchip negli stivali di sicurezza, anticipando quella possibilità di controllare a distanza i propri dipendenti che i datori di lavoro si sono guadagnati proprio grazie al Jobs Act.

4. Dopo vent’anni di concertazione e di mediazioni al ribasso, il principale sindacato italiano si ritrova così privo di margini di confronto e contrattazione. L’unica “politica dei redditi” è quella che si discute a Bruxelles, dove in cambio di tonnellate di denaro alle banche si chiede aumento della produttività e tagli al salario diretto ed indiretto (la spesa sociale).
Neanche accordi come quello sulla rappresentanza, che in cambio di maggiore riconoscimento bloccano preventivamente le possibilità di conflitto sul posto di lavoro, possono bastare a recuperare un terreno che si fa sempre più scivoloso, in cui lavoratori sempre più ricattabili e impossibilitati all’iniziativa sindacale possono al massimo sperare nelle garanzie di in un salario veramente minimo.
Finisce così l’epoca dei governi amici, per quanto ne rimanga una parziale speranza. Anche questo spiega le timidezze ed i tira e molla di un sindacato incapace di capitalizzare la forza di quasi un milione di lavoratori in piazza e di due scioperi generali. Questo spiega dall’altra parte la fretta di colmare il vuoto politico che ne deriva da parte di chi, come Landini, proprio su Renzi aveva scommesso, almeno inizialmente.

5. Queste contorsioni non ci riguardano. Vengono da decenni di accordi che in nome del “meno peggio”, hanno peggiorato costantemente la condizione di milioni di lavoratori italiani. Mentre la CGIL tentava di dimostrare il proprio senso di responsabilità davanti ai padroni ed ai loro governi, accettando quasi ogni misura questi spacciavano essere necessaria per il “rilancio dell’economia”, il Capitale marciava al ritmo di bolle speculative ed indebitamento pubblico e privato. Di fronte al conto presentato dalla crisi, quando l’ubriacatura finanziaria ha cominciato a dover lasciar posto alla cruda e dura “economia reale” - quella fatta di materialissimo sfruttamento e miseria -, anche questo ruolo è saltato: o i sindacati accettano di trasformarsi al massimo in agenzie di servizi (anche interinali, come prevede il jobs act, finendo così addirittura per guadagnare dal licenziamento di lavoratori poi da ricollocare!) o spariscono. La perdita di questa posizione brucia alla dirigenza sindacale, più di qualsiasi altra cosa: lo dimostrano le parole dello stesso Landini, quando all’autoritarismo della FIAT contrappone il (pessimo) accordo firmato da lui stesso all’Electrolux, ormai assurto a modello da seguire.

6. Non aver contrastato - o aver addirittura accettato - per anni il dilagare della flessibilità, delle catene di subappalti e della disoccupazione ha disaffezionato progressivamente gran parte del proletariato italiano ai sindacati e alla sinistra parlamentare. Questo è il solo errore ammesso dagli organizzatori della manifestazione del 28. Però dietro la retorica dei “giovani”, dei “precari e dei garantiti”, così abilmente sfruttata dal Governo per uguagliare al ribasso le condizioni di tutti i lavoratori, si nasconde la naturale conseguenza dell’incapacità delle lotte collettive di non limitarsi alla (parziale) difesa dei diritti conquistati nel passato e l’abbandono, quindi, dei nuovi entrati nel mercato del lavoro a sé stessi ed al proprio individualismo. Intitolare la manifestazione del 28 “Unions”, significa, secondo le parole dello stesso Landini, tornare alle radici del movimento sindacale, quello che aveva di mira proprio l’insopportabile concorrenza al ribasso tra i lavoratori, proprio adesso che diventerà norma la condizione di precarietà in cui versava una buona fetta del proletariato che il sindacato non era in grado di intercettare.
Questo non ci deve lasciare indifferenti, come non ci può lasciare indifferenti il consenso che sono in grado di raccogliere parole che puntano dritte al problema della mancanza di rappresentanza politica di quelli che devono lavorare per vivere.

7. Non rimanere indifferenti, non concedere niente agli opportunismi, e soprattutto, come già dicevamo, “supportare la resistenza, costruire comitati autonomi di lavoratori, intersindacali, intercategoriali, che pongano al centro le nostre esigenze e la solidarietà di classe. Costruire tutti insieme - lavoratori più meno precari, studenti, disoccupati - una vera opposizione a questo governo. Non in generale alla "crisi", all'"austerity", ma a QUESTO governo che fa QUESTE politiche, per metterlo in difficoltà, farlo arretrare, prendere sicurezza in noi stessi. E così preparare l'offensiva: un momento di rilancio, di estensione di diritti, di aumento di salari”, radicalizzando le istanze già presenti nella nostra classe, costringendo le dirigenze sindacali a prendere posizione, inchiodandole alle proprie responsabilità. Vogliono combattere la criminalità che si nasconde nelle catene di subappalti? Sostenessero le lotte dei facchini della logistica, magari prendendo esempio! Protestano contro le infami manganellate prese dagli operai? Lo facessero anche per quelle prese dagli studenti e dagli occupanti di case! Vogliono interrompere gli effetti nefasti della globalizzazione e delle delocalizzazioni? Trovino modo di sostenere e solidarizzare con gli operai Rumeni, Polacchi, Turchi!

Questi i nostri compiti. Intanto ascoltiamo le parole dei protagonisti della piazza...

Jobs Act