Conosci il tuo nemico! Che cos’è la BCE e come possiamo combatterla

In questo testo ci proponiamo di spiegare, in parole semplici, cosa è la Banca Centrale Europea, di mostrare come quest’organizzazione partecipi alla nostra oppressione, ma anche come possa essere combattuta.

Pensiamo infatti che un maggiore livello di consapevolezza rinforzi le nostre lotte, ci faccia stare in piazza con più convinzioni e permetta a molta più gente di partecipare. E magari di convincersi che quest’ordine di cose non può solo essere “aggiustato”, ma deve essere trasformato alla radice. Per questo vi invitiamo a fare girare il più possibile queste poche pagine… Buona lettura!

Giovedì 2 ottobre 2014 si riunirà a Napoli il consiglio direttivo della Banca Centrale Europea. Quando abbiamo appreso questa notizia abbiamo deciso, senza pensarci due volte, di costruire insieme alle altre realtà napoletane la mobilitazione contro il vertice. Una decisione quasi istintiva dovuta al fatto che in questi anni la BCE è stata probabilmente l’istituzione che più di ogni altra ha  sponsorizzato le politiche di austerity e l’attacco alle condizioni di lavoro di milioni di persone.

Una decisione istintiva, dicevamo, ma quanto informata? In effetti, prima dell’avvento della crisi, nelle nostre analisi raramente ci soffermavamo sul ruolo della Banca Centrale e nei nostri discorsi sull’Unione Europea ci concentravamo molto di più sulla questione della guerra tra valute (euro vs dollaro) o su altre istituzioni comunitarie come la Commissione o il Consiglio Europeo. Poi nel 2009 è arrivata la crisi dell’eurozona e tutto è cambiato…

Di colpo un gruppo di anonimi burocrati fino ad allora sconosciuto è salito alla ribalta. Abbiamo cominciato a sentire parlare di “Troika”, piani di salvataggio, spread, e le decisioni dell’Eurotower hanno conquistato le prime pagine dei giornali. Nessuno ricorda neanche il nome dei primi due presidenti della BCE, mentre ora le dichiarazioni del “nostro” Mario Draghi hanno più risalto di quelle del papa, fanno il bello e il cattivo tempo sui mercati e  determinano le scelte di politica economica dei governi.

Proprio preparando la mobilitazione ci siamo dunque accorti di quanto poco sapessimo della BCE, tanto che se oggi uno studente o un lavoratore dovesse chiederci perché bisogna protestare contro il vertice, con tutta probabilità risponderemmo in maniera generica e un po’ ideologica.

Abbiamo quindi deciso di approfondire la questione. Ma come  iniziare? Come sempre: ponendosi le domande più semplici e apparentemente banali, quelle che quasi ci si vergogna a fare in pubblico ma che costituiscono la base da cui partire per qualsiasi ragionamento. Ad esempio: cos’è la Bce, di cosa si occupa? Qual è il suo mandato? Azzardiamo qualche risposta.

1. Cos’è la BCE?

Per soddisfare la nostra curiosità basta andare sul sito della BCE, dove sulla homepage troviamo scritto: “La BCE è la banca centrale per la moneta unica europea, l’euro. Il compito principale della BCE è preservare il potere di acquisto della moneta unica e quindi assicurare il mantenimento della stabilità dei prezzi nell’area dell’euro”.
   
In pratica la BCE non è molto diversa da una qualsiasi banca centrale, è semplicemente l’istituzione europea a cui sono demandate tutte le decisioni di politica monetaria che prima erano di competenza dalle banche centrali dei paesi che hanno aderito all’euro. Per “politica monetaria” si intendono tutte le decisioni in merito a tassi di interesse e alla gestione dei bilanci delle Banche Centrali Nazionali (BCN) e della base monetaria.

In parole povere la BCE stabilisce la quantità di moneta, decide a che tasso di interesse prestarla alle banche, e supervisiona le operazioni  in valuta estera effettuate dalle BCN che a loro volta contribuiscono a determinare i tassi di cambio.

Vediamo di essere ancora più chiari. La politica monetaria è uno strumento potentissimo che pur agendo in maniera indiretta sull’economia riesce ad influenzare pesantemente i tassi d’interesse, le condizioni del credito, la domanda aggregata, l’occupazione, la produzione e i prezzi delle merci.

La politica monetaria può essere espansiva o restrittiva. Espansiva, quando si aumenta la moneta in circolazione e quindi si inducono le banche a prestare soldi alle imprese e quindi aumentano gli investimenti e di conseguenza la produzione di beni e servizi. Restrittiva, quando si diminuisce la moneta così che le banche prestano meno e pertanto diminuisce la produzione, l’occupazione, il reddito e conseguentemente la domanda.

Detta così verrebbe da chiedersi: perché non viene attuata costantemente una politica espansiva, visto che questa sembra presentare solo vantaggi mentre quella restrittiva solo svantaggi? Il problema sta in quello che potremmo definire l’effetto collaterale della politica monetaria espansiva, ovvero l’inflazione.

L’inflazione non è altro che l’aumento del livello generale dei prezzi di beni e servizi, che comporta la diminuzione del potere d’acquisto della moneta. Ora, se è abbastanza evidente che, se si aumenta la quantità di moneta in circolazione, aumenta anche la domanda: se l’offerta si adegua l’equazione funziona, e aumenta anche il reddito. Ma se l’offerta non si adegua i prezzi salgono e la quantità di beni e servizi prodotti non si incrementa. L’aumento dei prezzi fa sì che con la stessa quantità di denaro si possano comprare una quantità di beni inferiore a quella che era possibile acquistare in precedenza.

Insomma, sembra banale dirlo ma non basta stampare banconote per creare ricchezza. La ricchezza, che si presenta sotto forma di merci e servizi, è frutto del lavoro di persone reali e non di pezzi di carta filigranata. Nel capitalismo perché ci sia lavoro servono investimenti e gli investimenti ci sono solo se c’è la prospettiva di fare profitti.

In realtà l’azione di trasmissione delle scelte di politica monetaria all’economia non è così meccanica e semplice. Qui abbiamo semplificato per rendere più comprensibile la questione ma, senza dilungarci oltre, possiamo affermare che proprio sul come e sui tempi con cui le decisioni di una banca centrale influenzano l’economia, gli economisti borghesi si dividono dagli anni ’30 tra keynesiani, fautori di politiche espansive, e monetaristi, che sostengono al contrario che solo attraverso un inflazione bassa si possa avere una crescita duratura e non “gonfiata”.

Ma questa è una controversia tutta borghese, posta nei termini dell’economia borghese, che vede cioè contrapposte due scuole di pensiero che però si pongono sostanzialmente lo stesso obiettivo: quello di ottenere la crescita del Prodotto Interno Lordo, in altri termini di continuare a fare profitti privati sulle spalle di chi lavora. In nessuno dei due casi viene posto il problema dello sfruttamento, di una giusta ripartizione dei carichi di lavoro nella società, del cosa e quanto produrre e soprattutto perché. E d’altra parte questa “dimenticanza” non ci sorprende, in quanto il modo di produzione capitalista  si basa proprio sullo sfruttamento di molti da parte di pochi.

La cosa che ha dell’incredibile sta nel fatto che molti, anche a sinistra, hanno deciso invece di prendere posizione in questo dibattito sostenendo le tesi dei keynesiani. In questi anni abbiamo visto molti economisti affannarsi nel ridicolo tentativo di spiegare ai padroni come si fa a fare i padroni, rinunciando quindi a porre il nodo fondamentale dei rapporti di produzione, ovvero di come viene prodotta la ricchezza e di come viene poi divisa. Si tratta di una posizione perdente in partenza proprio perché posta nei termini della classe dominante e non in quelli dell’interesse dei proletari.

Peraltro, tale posizione è perdente anche all’interno del pensiero economico della borghesia nel quale oggi, come vedremo in seguito, dominano le tesi monetariste. Infatti, a prescindere dal fatto che in determinati frangenti possono essere attuate politiche espansive, la necessità di mantenere bassa l’inflazione è ormai considerato un dogma. Non è un caso che il mandato della BCE vada proprio in questo senso.


2. Il mandato della Bce

Come abbiamo visto in precedenza, sul sito della BCE è scritto a chiare lettere che “Il compito principale della BCE è preservare il potere di acquisto della moneta unica e quindi assicurare il mantenimento della stabilità dei prezzi nell’area dell’euro”.

In effetti a ben vedere probabilmente l’unico pregio di questa istituzione sta nel fatto che il suo statuto è sintetico ed estremamente chiaro nel definire gli obiettivi: la BCE deve mantenere l’inflazione attorno al 2%.

Che significa? Dopo aver fatto una veloce disamina dei diversi approcci in tema di politica monetaria, ora dobbiamo abbandonare il piano del dibattito astratto e generale e concentrarci sul caso concreto. A questo punto la  domanda che ci dobbiamo porre è: perché nel momento in cui si è passati all’euro e si è costituita la BCE si è deciso che questa dovesse ostinatamente perseguire l’obiettivo della stabilità dei prezzi?

Se infatti prendiamo in considerazione la politica monetaria attuata dalla BCE dal 1999 ad oggi e i discorsi fatti dai vari presidenti che si sono avvicendati, sembra quasi di trovarsi davanti a una sorta di ossessione, a qualcosa di patologico, a una vera e propria fissa per l’inflazione.

Di sicuro l’inflazione porta con sé una serie di svantaggi per i padroni, come quello di vedere eroso il proprio profitto nel mentre che questo si realizza, di indurre i lavoratori a rivendicare aumenti salariali etc, ma porta a loro anche alcuni vantaggi, come quello di incentivare le esportazioni o di speculare sui prezzi… Non è un caso che in passato non vi sia mai stata tanta attenzione alla stabilità dei prezzi, ma addirittura veniva teorizzato come un certo livello di inflazione fosse fondamentalmente benefico per l’economia e che portasse a un calo della disoccupazione.

Draghi&co., invece, non parlano solo di tenere sotto controllo l’aumento dei prezzi, ma parlano di “stabilità dei prezzi” che è un concetto completamente diverso e a suo modo rivoluzionario per la stessa economia borghese. Questi qui sognano qualcosa che nella storia non c’è mai stato: un’Europa priva d’inflazione. Evidentemente qualcosa negli ultimi decenni deve essere cambiato.

Per provare a capire cosa è cambiato, conviene anche stavolta non partire da tesi precostituite che possono risultare fuorvianti, ma analizzare la questione dal punto di vista della controparte per capire come sono giunti a certe conclusioni. Con non poca difficoltà ci mettiamo quindi nei panni dei padroni e cerchiamo di capire perché l’inflazione è per loro tanto pericolosa.

Iniziamo immaginando di essere un qualsiasi industriale che produce una qualsiasi merce, ad esempio sedie. Facciamo il nostro investimento e pianifichiamo di realizzare un profitto pari a 100 euro. Al momento di vendere la nostra merce e realizzare il nostro profitto, veniamo però a sapere che c’è stato un aumento generalizzato dei prezzi, diciamo del 5%, e scopriamo che in termini reali il nostro profitto risulterà svalutato appunto del 5%. Contavamo di incassare 100 euro, e infatti tanti ne incasseremo, ma in termini reali il nostro profitto sarà invece di 95.

Com’è facile immaginare, questo non ci fa piacere. Passata la delusione ci pensiamo su e capiamo che qualche strumento per difenderci dall’inflazione ce l’abbiamo. Possiamo ad esempio immediatamente  aggiornare i prezzi e quindi recuperare il gap che si è creato e magari anche specularci su (come accadde intorno al 2001-2002 con l’introduzione dell’euro!), oppure ci accorgiamo che grazie alla svalutazione della moneta possiamo esportare di più e quindi acquisire nuove fette di mercato all’estero. Insomma alla fin fine questo aumento inflattivo non si è poi rivelato tanto dannoso per noi, e addirittura in determinate circostanze può risultare positivo.

C’è qualcosa che non va! Per quanto estremamente semplificato, però, questo ragionamento sembra tenere e quindi non troviamo, apparentemente, una spiegazione in merito al mandato della BCE.

Poi ci pensiamo meglio e ci accorgiamo di aver commesso un errore o meglio: di esserci fermati troppo presto. In effetti quella dell’industriale che agisce con capitali propri è una figura ormai marginale, più ottocentesca che del ventunesimo secolo, e soprattutto non sono solo loro i padroni. Anzi, se oggi chiediamo a un qualsiasi proletario chi sono i padroni, con tutta probabilità ci risponderà “le banche”.

Proviamo quindi a vedere la questione dal punto di vista delle banche. Innanzitutto teniamo presente che le banche sono essenzialmente aziende che comprano e vendono soldi. La differenza rispetto all’esempio precedente sta nel fatto che il profitto non si realizza immediatamente al momento della vendita ma in un tempo molto più lungo.

Capiamoci meglio. Mettiamo di essere una banca che eroga mutui. Viene da noi un privato che stipula un mutuo per un acquisto casa diciamo di 100.000 euro e rimborsabile in 30 anni al tasso del 5%. Se ci fosse la “stabilità dei prezzi” potremmo sentirci tranquilli in quanto anno per anno il nostro profitto si realizzerà… Ma se per caso i prezzi aumentano, ovvero il tasso di inflazione sale, i profitti pianificati non si realizzano nella misura  da noi auspicata e non abbiamo nessun modo per intervenire!

Allo stesso tempo, sempre per quanto concerne le banche, l’inflazione crea un problema anche nell’acquisto dei fondi necessari per fare credito. L’imprevedibilità dell’andamento dei prezzi, infatti, fa sì che i risparmiatori richiedano un tasso di interesse più alto per tutelarsi da un imprevisto rialzo dell’inflazione. Insomma, per le attività di tipo creditizio la “stabilità dei prezzi” costituisce la condizione maggiormente auspicabile.

Ecco, questo ci convince di più. L’inflazione fa in particolar modo male alle banche. Forse non è un caso che l’ossessione per la stabilità dei prezzi sia cresciuta di pari passo con la sempre maggiore finanziarizzazione dell’economia. Dunque, in poche parole, la BCE è un’istituzione che per statuto deve fare gli interessi del capitale bancario-finanziario.

La conclusione a cui siamo pervenuti ci racconta però anche qualcos’altro. Ci dimostra quali siano attualmente i rapporti di forza all’interno del padronato e nello specifico quale sia in questo momento storico la fazione di capitale egemone.


3. Il nuovo ruolo della BCE

Abbiamo visto fino ad ora cos’è la BCE, di cosa si occupa e soprattutto quali interessi persegue. Ora ci tocca capire come li persegue e come nel tempo si sia dotata di nuovi strumenti. È infatti chiaro già dal primo paragrafo che una delle frecce nell’arco della BCE sia la politica monetaria. Abbiamo visto come questa, pur agendo solo indirettamente sull’economia, sia uno strumento potentissimo. Ma la realtà ha dimostrato che non basta. Non basta mantenere l’inflazione sotto il 2% per fare profitti. Anzi, se ci si limita alla sola politica monetaria restrittiva si rischia di produrre un altro eccesso, come la deflazione, che ha per il capitale esiti altrettanto negativi.

Questa è per certi versi la storia degli ultimi anni. La politica monetaria è stata estremamente rigorosa ma la crescita nell’UE non c’è stata. E non c’è stata perché non si sono create quelle condizioni di profittabilità tali da attirare e far ripartire gli investimenti.

Draghi l’ha predicato più volte, non perdendo mai occasione per dire che bisogna intervenire sul mercato del lavoro, che bisogna aumentare la produttività, che serve la moderazione salariale, che serve la riforma dei contratti, ovvero l’abbassamento delle retribuzioni e l’incremento dell’orario e dei ritmi di lavoro... In poche parole, Draghi, dal suo autorevole pulpito, ha continuamente fatto pressione sui Governi per ottenere questo risultato: l’aumento dello sfruttamento dei lavoratori.

Certo, tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare, e applicare certe ricette lacrime&sangue non è così facile – e questo la strenua resistenza dei proletari greci sta a dimostrarlo. Non è facile perché c’è chi sciopera, lotta, si oppone e anche perché all’interno della democrazia borghese i governi devono in una qualche misura confrontarsi con il problema del consenso popolare e fare certe riforme può essere veramente difficile se non addirittura pericoloso, perché si rischia di scatenare reazioni invise al capitale.

Ma ecco che la storia cambia se certe scelte sono l’esito di un ricatto, un ricatto che apparentemente viene dall’esterno o meglio dall’alto, e che spesso viene vissuto come inevitabile. Addirittura certi falsi diktat, se opportunamente gestiti dalla propaganda mediatica, possono alimentare un senso di artificiosa coesione nazionale dove le differenze tra le classi scompaiono e “siamo tutti sulla stessa barca”.  Il caso italiano in questo senso è paradigmatico…

Ma torniamo alla BCE. Come dicevamo, il problema che a un certo punto si è palesato è che i Governi non riuscivano ad applicare rapidamente e alla lettera i “consigli” di Draghi o meglio dei suoi mandanti. Gli stessi piani di salvataggio della Grecia, per quanto gravosi, erano comunque frutto di mediazione tra soggetti diversi e non erano dotati di automatismi che rendessero le decisioni immediatamente operative. Insomma, per la BCE bisognava far qualcosa, inventarsi strumenti più pesanti.

L’occasione per fare qualcosa si  presenta nell’estate 2012 quando  inizia l’attacco speculativo sul debito sovrano dell’Italia, attacco che nel mese di luglio porta lo spread tra BTP e BUND tedeschi a oltre 500 punti base e trascina a fondo le piazza finanziarie europee (e non solo). La situazione si fa veramente difficile in quanto al centro del ciclone questa volta non c’è un paese periferico o marginale dal punto di vista economico come la Grecia, ma una delle maggiori economie del continente con un debito pubblico pari a circa 2.000 miliardi di euro. A questo punto bisogna intervenire, e dall’Eurotower, fregandosene altamente delle consuetudini e forzando non poco lo stesso statuto della BCE, parte l’ordine di acquisto di una quantità imprecisata di titoli pubblici italiani sul mercato secondario.

L’operazione riesce, lo spread scende e la situazione torna sotto controllo. Ai primi di agosto però la BCE presenta il conto. Viene inviata a firma di Trichet (allora ancora formalmente presidente della BCE), ma con Draghi presidente in pectore, una lettera al Governo Berlusconi. La lettera impone misure durissime come l’anticipo del raggiungimento del pareggio di bilancio al 2013 e  successivamente determinerà le dimissioni di Berlusconi e la nomina di Mario Monti alla guida dell’esecutivo con il compito di riformare pensioni, riformare il mercato del lavoro e tagliare il welfare.

Per la prima volta la BCE in maniera palese incide pesantemente nella politica interna di uno stato dell’Unione. Si tratta di un ruolo inedito che anche in questo caso non trova precedenti nella storia. Ma, come dicevamo, l’operazione funziona e quindi si pensa bene di istituzionalizzare la cosa. È così che nasce, nel settembre 2012, l’Outright Monetary Transactions (OMT), il cosiddetto “Piano anti-spread”.

Questo piano prevede che la BCE proceda all’acquisto illimitato dei titoli di stato a breve termine sul mercato secondario per gli stati che ne facciano richiesta al fine di ridurre i rendimenti. L’attivazione del piano di OMT è però legata ad una “rigida ed efficace condizionalità” ovvero la sottoscrizione da parte degli stati di un programma del fondo ESM (European Stability Mechanism). I programmi dell’ESM sono misure vincolanti per gli Stati che “possono spaziare da un programma di correzioni macroeconomiche al rispetto costante di condizioni di ammissibilità predefinite”. In parole povere il “salvataggio” è condizionato a una sorta di commissariamento da parte dell’ESM – con modalità simili a quelle utilizzate dal Fondo Monetario Internazionale di cui ricordiamo i “brillanti” interventi dei decenni passati, che hanno distrutto le condizioni di vita e di lavoro di decine di milioni di lavoratori a tutte le latitudini ed in particolare nei paesi sudamericani…

L’introduzione dell’OMT e dell’ESM di fatto segna uno spartiacque nella storia dell’Unione. Definisce una nuova gerarchia tra le istituzioni comunitarie e soprattutto fornisce, ai vari governi nazionali, uno straordinario spauracchio da agitare davanti agli occhi dei proletari ogni qual volta questi osano mettere in discussione o contestare riforme come quella Fornero o lo stesso Jobs Act. Poco importa che fino ad ora nessun paese sia ricorso all’OMT e all’ESM e che, per quanto sulla carta siano strumenti ben definiti, sia tutta da vedere poi la loro applicazione pratica e addirittura la loro compatibilità con gli ordinamenti nazionali. Tanto basta per far sì che Renzi, o chi per lui, possa pubblicamente affermare che o si agisce in una certa maniera o si va incontro al commissariamento.


4. Conclusioni. Come combattere la BCE?

Abbiamo così visto che la BCE è, per definizione, per storia e per funzionamento, un’istituzione antiproletaria. Un’affermazione che posta all’inizio di questo breve documento sarebbe suonata assolutamente ideologica ma che dopo queste poche riflessioni sentiamo di poter urlare coscientemente in qualsiasi piazza, a Napoli come nel resto del continente. Sentiamo di poterla urlare perché nonostante la rozzezza e l’estrema sinteticità dei nostri ragionamenti crediamo di aver colto l’essenza di questa istituzione.

Un’istituzione che per statuto fa gli interessi dei padroni e che quindi sistematicamente lavora perché ci sia sempre maggiore sfruttamento. Un’istituzione che, data la sua natura, non può essere riformata in alcun modo.

Un’istituzione che prevede per noi un futuro desolante. L’idea che hanno infatti in mente le borghesie continentali  è quella  di Europa dai bassi salari, con la produzione orientata all’export, capace di attrarre capitali provenienti dai paesi dell’Unione e soprattutto da fuori, un luogo dove fare profitti che divengono a loro volta capitali da poter esportare per assoggettare altre aree del mondo. Non è un caso che la “moderazione” salariale, da sempre nemica dell’inflazione,  sia uno dei punti fissi nei discorsi di Draghi mentre la ripresa dei consumi interni non è mai nemmeno menzionata. Un’Europa, quindi, dove lavoreremo di più per meno soldi, dove saremo più precari, dove la possibilità di fare sindacato sarà residuale, dove anche i pochi elementi democratici presenti oggi perderanno del tutto di senso.

Però, prima di capire come evitare questo scenario, e dunque come combattere la BCE, sintetizziamo un attimo il discorso fatto finora, cercando di evitare alcuni possibili fraintendimenti.

1. Abbiamo dimostrato come la BCE faccia gli interessi del grande capitale, e in particolare di quello bancario e finanziario. Ma questo non vuole assolutamente dire che esista un’economia reale buona contrapposta all’economia finanziaria cattiva. Da un secolo buono il capitale bancario compartecipa degli utili del capitale produttivo, utili che provengono dallo sfruttamento della forza-lavoro. Le borse, i fondi di investimento, le banche e insomma tutto il capitale finanziario sono perfettamente integrati con un sistema di sfruttamento che trae la sua linfa dal lavoro vivo nelle fabbriche, nei call center, nei centri della logistica e della grande distribuzione.

2. Abbiamo mostrato come la BCE possa avere una funzione direttiva sui Governi, ma non dobbiamo mai dimenticare che il problema non è semplicemente la Bce. La Bce non è una una forza aliena che viene da Marte e che obbliga i poveri Governi ad applicare determinati programmi. La BCE è un’istituzione che, per quanto formalmente indipendente, è legata a doppio filo agli stati. I membri del consiglio direttivo sono i governatori delle Banche Centrali Nazionali che vengono nominati dai governi e i componenti del comitato esecutivo sono scelti dal Consiglio Europeo che è composto dai capi di Stato o di governo degli Stati dell’Unione. Insomma non solo non dobbiamo mai cadere nell’errore di identificare in una sola istituzione l’unico nemico contro cui scagliarci. Ma non dobbiamo nemmeno accettare la retorica che costantemente ci propinano i nostri governi, i quali tentano di sottrarsi alle loro responsabilità di fronte ai popoli blaterando di presunti diktat che vengono dall’alto. In verità i Governi sono espressioni delle varie classi dominanti e sono essi stessi a promuovere i provvedimenti di austerity e spesso anche a chiederli all’Europa. Fra di loro c’è un gioco delle parti: ci fanno apparire il nemico sempre più lontano fino a farlo diventare un miraggio intangibile o così grande da non poter essere affrontato.

3. Ne consegue che il nemico ce l’abbiamo in casa più vicino di quanto non pensiamo e, oggi come ieri, ha la forma sia del padrone (che sia una falsa cooperativa, una cordata di imprenditori o un’impresa multinazionale), sia dello stato, che è una macchina nelle mani dei capitalisti per tenere in soggezione gli sfruttati, un apparato che ha il monopolio della violenza e che serve a conservare l’ordine esistente.

Se le cose stanno in questo modo, per combattere la BCE dobbiamo sì contestarla il 2 ottobre a Napoli e ogni qual volta si riunirà nelle nostre città, farne capire il ruolo oppressivo etc, ma dobbiamo soprattutto essere in grado, come reti antagoniste, collettivi, associazioni, sindacati etc, di mettere in piedi quotidianamente, su tutti i posti di lavoro, in tutte le scuole e università, in tutti i luoghi di aggregazione sociale, una mobilitazione contro le politiche del capitale. Resistendo cioè sia agli attacchi di padroni e padroncini, come Farinetti o Ikea, ma anche e soprattutto agli attacchi del loro braccio armato, ovvero Governi e Stato, opponendoci quest’autunno più che mai a Renzi, che pretende, con la riforma della scuola e del lavoro, di riscrivere le nostre stesse condizioni di esistenza a questo mondo.

Non ci fermeremo quindi il 2 ottobre, ma andremo avanti con costanza, costruendo i cortei studenteschi di venerdì 10 ottobre e lo sciopero della logistica di giovedì 16 ottobre, facendo di tutto perché la rabbia che attraversa il paese trovi un momento di composizione politico più alto.
Questo il nostro compito: Supportare la resistenza, preparare l’offensiva!

BCE   Draghi  

Rete Camere Popolari del Lavoro